domenica 9 febbraio 2025

La Filatrice di Storie

C’era una volta, tanto, tanto tempo fa, una fiaba che voleva fare il giro del mondo.
Le fiabe, lo sanno tutti, vivono nel regno delle nuvole, un regno inaccessibile e lontano fra i cieli sconfinati. Talvolta, però, alcune fiabe, quelle più ribelli e più curiose, riescono a scendere sulla terra e, scivolando sulla nebbia o cavalcando un temporale, si infilano nei sogni di un bambino o nei pensieri di una narratrice.
La fiaba in questione era proprio una di quelle: avventurosa e determinata a lasciare il suo regno e a viaggiare per il mondo.
Aveva l’aspetto di un piccolo e soffice batuffolo e passava il suo tempo a saltare da un cirro a un cumulo, scrutando attentamente l’orizzonte e cercando un modo per realizzare il suo desiderio.
Finalmente, un giorno, vide qualcosa che avrebbe potuto aiutarla. Poco sotto di lei, piccola e leggera, una buffa fata stava camminando in un turbinio di neve. La fata aveva occhi attenti che sapevano distinguere le ombre dai confini e attraversava tranquilla quell’inverno, che sembrava coprire anche i pensieri. Fra le mani, teneva un ramo di noce intagliato e la nuvola lo osservò, prima con attenzione, poi con stupore: non si trattava di una bacchetta magica, ma di una conocchia. Una conocchia che sembrava fluttuare nell’aria come la punta di un larice nel canto del vento.
Allora – pensò la fiaba – non si trattava di una fata, ma di una filatrice!
Di colpo si rese conto che quella era la sua grande occasione: si avvicinò velocemente alla filatrice e si avvinghiò alla conocchia.
La filatrice sentì un lieve brivido, alzò lo sguardo, osservando stupita quella tenera nube di cielo, poi si mise a sorridere e prese la via di casa.
Lì, in una notte calma e silenziosa, al calore di un bel fuoco ruggente, cominciò a filare.
La nuvola era calda e le mani della filatrice ne tirarono gentilmente un filo e, improvvisamente, si udì un suono sottile e la fiaba cominciò a parlare, descrivendo personaggi, luoghi, avvenimenti.
Per tutta la notte la filatrice tirò il filo e per tutta la notte la fiaba raccontò (…).
Quando le luci dell’alba filtrarono nella casa, la filatrice aveva gli occhi lucidi, le guance accese e il cuore colmo di gioia: accanto al camino la nuvola era diventata un soffice e vaporoso gomitolo.

I giorni passarono. La filatrice continuava a sfiorare il gomitolo e a sentirsi strana. Sentiva che quel gomitolo era diverso da tutti gli altri e non si decideva a farlo lavorare da un uncinetto.
Poi, un mattino, mentre la primavera spalancava le porte e le finestre, il gomitolo le sfuggì di mano, attraversò l’uscio e corse per la strada. La filatrice lo inseguì stupita, poi affannata, poi preoccupata, di non riuscire a prenderlo, poi… alzò lo sguardo verso il cielo e vide che il vento trasportava cirri bianchi che sembravano ridere sommessamente. Allora si fermò e si mise a ridere anche lei: il gomitolo era una nuvola di cielo, non si poteva imprigionarla o costringerla, era libera, libera di andare, di viaggiare, di incontrare il mondo, come aveva sempre sognato.

La filatrice tornò dolcemente sui suoi passi e rientrò in casa.
Si avvicinò alla sua conocchia e la prese fra le mani.
Sulla montagna le nuvole si stavano addensando di nuovo.
Anche per lei era tempo di andare.


Fiaba tratta dall’introduzione de La filatrice di nuvole. Fiabe psichiche, di Paola Neyroz, Arti Grafiche E. DUC, Saint-Christophe, 2008, pagg. 8-9.

***

Era da poco iniziato dicembre – l’aria era gelida e qualche sporadico fiocco di neve cadeva sospinto dal vento – quando un bisbiglio persistente ha cominciato a ricordarmi questo libro. Lo avevo acquistato tanti anni fa, e dopo averne letto qualche pagina avevo deciso che non era ciò che cercavo. Così lo avevo riposto nella libreria, e dimenticato. Per circa quindici anni era rimasto lì, ad aspettare, fino a quando imperterrito ha cominciato a chiamare. Ho qualcosa da dirti, sembrava dicesse, qualcosa per te, solo per te. È qualcosa che devi sapere, che devi ricordare. Ed è importante.
Sommersa di lavoro e piccole e grandi perdite di tempo, come sempre ho rimandato di ascoltare. Ma quando l’istinto chiama – e forse anche qualcosa di altro – prima o poi bisogna rispondere.
Così, intorno ai giorni del solstizio, non potendo più resistere l’ho cercato. Sapevo bene dove lo avevo infilato senza più toccarlo, e lì l’ho trovato, esattamente come lo avevo lasciato.
L’ho aperto, ho letto l’introduzione, e il cuore mi si è spalancato. In quelle parole ritrovavo una parte di me, sopita da troppo, troppo tempo. Ho ricordato, e ho desiderato appuntare queste parole, e le molte altre che avrei trovato lungo il mio cammino, ma soprattutto quelle che io stessa avrei scritto: quelle che avrei filato dalla mia di conocchia. Brevi come un soffio o prolisse come un canto, ognuna avrebbe avuto forma, e vita.
Se la filatrice di nuvole filava le nuvole dando voce alle fiabe, io avrei filato matasse di nebbia impalpabile e bianchissima, e tutto ciò che mi avrebbe sussurrato una storia da raccontare e tramandare.

Così è nata l’idea di questa nuova tela.
Un quaderno di storie nel quale appuntare i racconti e le leggende che mi sono cari, quelli che incontro sui miei passi e custodisco per me stessa, e quelli che io stessa saprò filare,
girando la ruota di un piccolo filatoio d’argento,
lasciando scorrere il lucente filo fra le dita,
e ascoltando tutto ciò che vorrà narrare.

***

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