Accolgo questo dono che brilla sui miei passi. I miei e di nessun’altra. Un dono verso il quale sono stata sospinta con dolce insistenza, e che mi ha riempito il cuore. Di luce azzurra.
“Era rimasta sola.
Sola come quella terra arsa dal sole e gialla nella luce del tramonto.
Sola senza amici, senza animali, senza alberi.
Intorno, una distesa di sabbia e pietre, qualche montagna in lontananza, il grido del vento, nella sera.
Ametista, seduta a terra, osservava i disegni della sabbia. Scuoteva il capo come a cercare una lontana melodia e, talvolta, le unghie grattavano il suolo, per udire un suono diverso.
Ametista era sola.
Neanche la stella nel cielo ad accompagnare i suoi silenzi.
Neanche un ricordo, poiché i ricordi rimandano al passato e lei non ce l’aveva più.
I lunghi abiti blu e arancio avvolgevano il suo corpo come una caverna e il viso di Ametista non aveva più lacrime, solo il solco che esse avevano tracciato sulle guance e che non sarebbe scomparso mai.
Non riusciva a parlare, la bocca sembrava cucita e la tristezza la abbracciava senza scampo. Così, senza pensieri e senza gesti, se ne stava accovacciata fra la terra, indifferente al passare del tempo, avvolta da un dolore così acuto che appena respirava, appena dondolava il capo.
In quella desolazione di sé, le sue mani colsero, un giorno, dalla tasca marrone dei cubetti di argilla e, da allora, il silenzio feroce fu sostituito dai colpi dei cubetti che, lanciati sul terreno, cozzavano fra loro o sulle pietre. Ametista li gettava, poi li raccoglieva, li sfregava fra le mani, li faceva rotolare sulla sabbia. Senza pensieri, senza obiettivi, senza desideri, solo per esprimere la sua sopravvivenza. Non aveva passato, non avrebbe avuto futuro.
Tutto era scomparso per lei con i suoi sogni, i suoi desideri. Non esisteva niente che potesse farla sorridere o toglierla, per un istante, dalla disperazione profonda che la stringeva. Solo i cocci buttati a terra spezzavano il silenzio e gridavano come se fossero state le sue grida.
Furono i cubetti di argilla, un giorno, a rompere quella paralisi. Ametista li aveva lanciati e poi aveva preso a modificarne le posizioni a terra e, quando aveva terminato, essi erano disposti a formare una grande A.
Ametista non conosceva quella forma, tuttavia ebbe una breve emozione, come se le piacesse, come se le portasse un frammento di un’arcana armonia.
Da quel giorno, iniziò a comporre altri disegni con i cubetti, come se stesse cercando altre brevi emozioni e, finalmente, costruì la M e si sentì, per un piccolissimo istante, senza dolore. Aveva costruito qualcosa. Anche se non sapeva assolutamente di che cosa si trattasse, percepiva in fondo al cuore un sottile brivido che, ascoltato, copriva per un po’ il grande dolore.
La vita di Ametista si trasformò lentamente.
Era sempre sola, disperatamente, ma quelle lettere d’argilla sulla terra sembravano attrarre la sua attenzione, darle il sollievo, toglierle un po’ d’affanno.
Le guardava, le ripeteva, come se qualche parte di lei tornasse alla vita, come se quell’attività potesse distrarla per un momento e, per quel momento, il dolore non fosse così grande.
Creò la E, la S, la T, la I e con quelle lettere prese a formare delle sequenze. Anagrammi o parole sempre più lunghe occuparono la sua mente e le sue giornate passarono più velocemente, il suo dolore ebbe meno spazi per vivere.
Poi, un giorno, venne un gran temporale e rivoli d’acqua corsero sulla terra e dispersero i cubetti di argilla.
Gridò Ametista, sotto la pioggia che bagnava lacrime calde e rabbiose. Gridò per la sua vita senza fortuna, per il suo cielo senza la stella, per la sua solitudine devastante che la circondava e la riempiva.
Poi, abbassando lo sguardo, vide un nuovo disegno tracciato fra le pozzanghere. C’era scritto: AMETISTA.
Lei non capì che si trattava del suo nome, ma sentì un’esplosione dentro, come se tutto si fosse rotto. Da allora, tutti i suoi momenti furono spesi per la creazione di altre parole.
Ametista imparò a leggere e a scrivere e le lettere si moltiplicarono davanti ai suoi occhi, come le parole.
Nuovi suoni nacquero in lei.
Era sola, ma quella magia d’argilla e parole era con lei e per un istante pensò che, nella voragine della sua esistenza, ci fosse un piccolo appiglio. Forse, nel tempo, lei avrebbe trovato le parole per avere un po’ di pace e, chissà, forse… se questa sua capacità si fosse fatta forte, avrebbe saputo scrivere il nome della stella e, allora, essa sarebbe di nuovo apparsa nel suo cielo.
Ametista era ancora sola, ma qualcosa in lei era in sintonia con un’emozione non di dolore e quella breve felicità, almeno quella l’avrebbe avuta. Ametista guardò con fiducia al suo domani. La sua storia non era ancora finita.
Ametista e la stella
Aveva ripreso a vivere.
Le parole si formavano davanti a lei e, giorno dopo giorno, anche le cose riapparivano.
Quando aveva scritto la parola acqua, un piccolo ruscello si era aperto fra le rocce in quel deserto senza fine. Le gocce chiare e fresche avevano attraversato le sue mani e c’era stato un brivido, un lungo brivido per lei che non aveva più sensazioni… da tanto tempo.
Aveva scritto luna e, lentamente, essa era cresciuta nel cielo fino a diventare una immensa sfera argentata che illuminava la notte. In lei il cuore aveva pulsato, le mani tremato, gli occhi si erano aperti… tutto intorno aveva cominciato a essere.
Lei, ostinatamente, gettava in continuazione i cubetti di argilla davanti a sé e la sua rassegnazione si perdeva nell’intensità e nella foga di compiere quei gesti. Sapeva cosa voleva. Ametista sapeva. Prima o poi avrebbe composto il nome della stella ed essa sarebbe ricomparsa nel suo cielo.
Fu davvero così.
In una notte buia dove tutto sembrava sospeso, i cubetti di argilla formarono quella parola e una luce azzurra si accese a ovest nel cielo. Ametista sollevò lo sguardo: lei era lì.
Brillava con i suoi sei raggi, sembrava pulsare ed era bella, così bella che gli occhi di Ametista si riempirono di commozione. Lei, che aveva perduto anche le lacrime…
Da quel giorno tutto cambiò nella vita di Ametista.
Ora c’era la stella.
Fu presa da una eccitazione irresistibile, doveva raggiungerla, doveva toccarla, farsi accarezzare dalla sua luce, dondolare con lei nel cielo.
Raggiungere la stella, ma… come… come fare?
Ametista continuava a gettare i sassi e a formare le parole, ma non le importava più. Eppure, da quando la stella era apparsa anche quel gesto era diventato più preciso e, a ogni lancio, invece di formarsi una sequenza senza significato, c’era una parola che rappresentava qualcosa e questo qualcosa compariva nel suo mondo.
Prima si era trattato di oggetti concreti, di elementi della natura. Erano comparsi boschi, fiumi, città, persone.
Poi erano stati concetti, sentimenti: musica, sincerità, tenerezza, amicizia, storia, amore…
Erri erano comparsi insieme alle emozioni, alle sensazioni…
Ametista, tuttavia, non se ne curava: lei doveva raggiungere la stella.
Quando si era formata la parola scala, aveva cominciato a salirla e la scala diventava sempre più alta e lei saliva, ma anche la stella era sempre così lontana e l’aria si faceva rarefatta…
Quando era nata una grandissima sequoia, si era inerpicata fra i rami chiedendo loro di crescere ancora, ma l’albero, un giorno, si era fermato e Ametista aveva dovuto scendere.
Quando si era formata la parola aquila e l’immenso uccello aveva sorvolato la radura, lei gli aveva chiesto di portarla con sé e aveva volato su tutta la terra, sui mari, oltre le montagne. Aveva visto luoghi meravigliosi, ma non aveva potuto salire fino alla stella.
Si era rivolta alle nuvole e, cavalcandole, aveva scoperto paesaggi fantastici, ma la stella era ancora sopra di lei. Ametista aveva allungato le braccia e si era protesa fino allo spasimo, ma non l’aveva nemmeno sfiorata.
Un giorno, Ametista aveva pensato che, forse, quella stella, quella meravigliosa stella a sei raggi non fosse sua, non potesse averla. Aveva pensato che tutti quegli sforzi erano stati inutili, che miravano a farle raggiungere qualcosa che non le apparteneva. Avrebbe dovuto capirlo prima, già tanto tempo prima, che quella stella era troppo per lei… come aveva potuto illudersi… come aveva potuto credere di raggiungere tanta bellezza…
Un colpo di vento venne all’improvviso. Ametista sentì tornare il deserto intorno a lei, sentì la solitudine. Un altro colpo di vento le gettò i capelli sul viso. Ametista si sentì vacillare, poi, alzando gli occhi, incontrò i raggi del sole e quel calore la sciolse.
Percepì un benessere silenzioso e profondo, come se qualcosa in lei venisse riempito da quel calore.
La stella, d’un tratto, smise di essere una mancanza.
Sentì il sole scaldarla in ogni cellula, sentì la bellezza della luce che la raggiungeva e si sentì felice.
Non aveva potuto avere la stella, ma quelle emozioni profonde e dolcissime erano tutte sue.
Improvvisamente, Ametista ebbe voglia di ridere. Slacciò i suoi abiti e prese a danzare sotto il sole che le dorava la pelle. I suoi occhi divennero luminosi, la sua pelle ambrata. L’acqua del torrente si fece invitante e Ametista si lasciò scivolare nella freschezza sotto i raggi caldi del sole. Osservò la riva e mille persone si avvicinarono a lei. Ametista aveva sorrisi, emozioni, sentimenti. Qualcuno venne a chiederle un consiglio e lei gettò i dadi di argilla sulla terra e lesse l’intensità delle risposte.
Tutto si fece dorato nei suoi gesti e quel benessere appena nato divenne forte e vigoroso, divenne totale.
Spesso, la notte, osservava la stella azzurra, ma non aveva rimpianti.
Prese a parlare con lei, a raccontarle le sue emozioni.
Prima di addormentarsi la salutava sempre e si faceva accarezzare dai suoi raggi sentendosi perdutamente felice.
Il tempo passò.
Veloce e bello come sempre, quando l’armonia governa ogni passo.
Ci furono inverni e nevi, primavere, estati calde, poi l’autunno gravido di raccolto.
Fu in un autunno di novembre, quando il sole si fa tiepido tra le foglie gialle, che Ametista giunse sulle rive del lago. Si sentiva felice, ma emozionata come in attesa di un momento prezioso.
Il lago la chiamò. Ne percepì il canto e la voce ferma e dolce: Ametista… Ametista…
Lei giunse sulla riva, le mani bianche aperte alla luce. Si inginocchiò chiudendo gli occhi, mentre le onde lievi del lago lambivano i suoi piedi.
Il lago disse: “Questo è il momento”.
Ametista rispose: “Sono pronta, tutto è compiuto, non ci sono ostacoli davanti a me, solo libertà, libertà infinita”.
“Apri gli occhi e osserva”.
Ametista li aprì e il suo sguardo frugò nell’acqua. Lentamente le onde si calmarono e il viso di Ametista affiorò.
Un viso ormai vecchio, ma mai stanco, vissuto, pieno di saggezza e serenità.
Gli occhi si fecero aperti e, mentre un canto dolcissimo permeava l’aria, nelle pupille brillò una luce azzurra a sei raggi.
Ametista sentì il cuore diventare grande come il cielo e, in esso, percepì la stella.
Fu l’estasi. La vita. La morte.
È passato del tempo. Mesi. Anni. Secoli.
Osservo il cielo stellato. Lassù, a ovest, una stella azzurra a sette punte.
Sono felice. Ametista era il settimo raggio. Ora so perché voleva raggiungere la stella. Perché sentiva che la stella le apparteneva, era dentro di lei. Osservo il cielo stellato. Sono felice.”
Fiaba tratta da Paola Neyroz, La filatrice di nuvole. Fiabe psichiche, Arti Grafiche E. DUC, Saint-Christophe, 2008, pagg. 95-100.
***
Il dono più grande che potesse farmi il richiamo sottile e insistente del libro La filatrice di nuvole, che per tanti anni era rimasto intoccato nella libreria – ne parlo qui – era questa storia. Non l’avevo mai letta prima di pochi mesi fa, ma quando il libro ha chiamato, ho sentito, sperato, forse saputo, che qualcosa da dirmi ce l’aveva davvero. E sì, era importante.
Ho letto l’indice, ho appuntato qualche titolo che mi attirava, e non ho potuto resistere a leggere la storia racchiusa in questo. Il nome Ametista era uno di quelli che avevo scelto prima di ripiegare su Violet, tantissimi anni fa, e quando ho sfogliato le pagine, e ho letto il sottotitolo Ametista e la stella – ancora piena di dolore, rifiuto e senso di vuoto provocato da certe vicissitudini – ho capito. Che una mano invisibile, gentile e luminosa, mi avesse indicato prima il libro, sussurrando leggilo, e poi la pagina? Non posso dirlo, ma non posso neanche negare l’evidenza di ciò che mi è successo.
Questa storia è stata lasciata libera nel mondo, libera di andare dove vuole, ma qui e ora, spontaneamente, ha raggiunto me. Me soltanto. Me, che più di tutte ne avevo bisogno.
Mi ci riconosco completamente, riconosco il mio passato, frammenti del mio presente, scorci del mio futuro. Nessuno che io conosca potrebbe mai sentirla quanto la sento io.
L’ho fatta mia. Nel pieno rispetto di colei che l’ha scritta, l’ho adottata e racchiusa nel cuore. Là, dove nessuno può sfiorarla.
Starà a me farla rinascere e vivere di nuovo. Dentro di me.
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