È conosciuta a molte la figura della misteriosa Madama Holle, o Frau Holle, la versione fiabesca della divinità del destino che nel mito era conosciuta come Holda, Berchta e in genere, come la Fata, filatrice del fato ed elargitrice di fortuna o sfortuna a seconda dei meriti di coloro che a lei erano sottoposte. La si conosce in molteplici forme, in molte fiabe diverse, talvolta è una vecchina, talaltra una inquietante strega o una bella fata, certe volte è addirittura una regina gatta, ma una delle sue apparizioni più curiose e forse meno conosciute è quella presente nella tradizione fiabesca siciliana. Nella portentosa opera di Giuseppe Pitrè, infatti, esiste in particolare una versione della fiaba nella quale la signora del destino ha sembianze molto particolari. Lei è infatti la Mammadraga, una draghessa che compare più volte nelle fiabe siciliane e che è sia una terribile divoratrice, sia una benefica e materna madrina.
Questa è la trascrizione tradotta in italiano della fiaba raccolta da Pitrè, che la pubblicò insieme alle molte altre in siciliano, come lui era solito scrivere.
La Mammadraga
Una volta c’era una madre, che aveva una figlia che si chiamava Rosetta. Un giorno le disse: “Rosetta, Rosetta, prendi il secchio e vai a buttare l’immondizia”. La bambina prese il secchio e andò a buttare l’immondizia. Lì vicino c’era un pozzo e Rosetta andò a buttarla in quel pozzo. Ma mentre la buttava fece cadere il secchio. La bambina aveva sentito dire che dentro quel pozzo c’era la Mammadraga, perciò prende e dice: “Mammadraga, dammi il secchio”. “Scendi qua sotto e vieni a prenderlo”, le rispose la Mammadraga. “No, senno tu mi mangi”, le rispose la bambina. “No, che non ti mangio; giuro sull’anima di mio figlio Cola, che non ti mangio”. “E come faccio a scendere?”. “Metti un piede qua e uno là, e scendi”. La bambina, per paura che la madre la bastonasse se ritornava senza secchio, decise di scendere. Quando la Mammadraga se la trovò davanti, se l’abbracciò stretta: “Oh, come sei bella Rosetta mia, come sei bella! Ora scopami la casa”. La bambina si mise a scopare. “Che cosa ci trovi in questa casa?”. “Qualche poco di sporcizia e qualche poco di terra, come in quella di tutti gli altri”. “Controllami la testa. Che cosa ci trovi?”. La bambina si mise a controllare e disse: “Qualche poco di pidocchi e qualche poco di lendini, come in quelle di tutti gli altri”. “Ora controllami il letto. Che cosa ci trovi?” “Qualche poco di cimici e qualche poco di pulci, come in quelli di tutti gli altri”. “Come sei bella, rosetta! Che su questa bella fronte ti possa spuntare una stella così splendente da fare abbassare gli occhi a chiunque ti voglia guardare. Che bella testa! Che su questa testa ti possano spuntare capelli come fili d’oro, così che quando ti pettini da un lato ti cadano perle e diamanti, e dall’altro frumento e oro!” Poi la portò in una stanza, dove c’erano tanti panni vecchi e nuovi. E cominciò dalle calze, un paio belle e un paio brutte: “Quali vuoi?”. Rosetta le disse che voleva le più brutte. “e io ti voglio dare le migliori”, le disse la Mammadraga. Poi la camicia, e lei si prese la più rovinata. Poi il vestito: lei voleva il più vecchio e la Mammadraga le diede il più nuovo. E poi il resto, finché la Mammadraga la vestì tutta di nuovo e con begli abiti, tanto che pareva una bambola di porcellana. Alla fine, le diede una sommetta di denari e Rosetta se ne risalì. Appena la madre la vide: “Oh, che bellezza! E come hai fatto a diventare così bella?”. E Rosetta le raccontò tutto quello che le era capitato. Ma sapete come succede nel vicinato! Una comare cominciò a farle tante domande e la madre di Rosetta le raccontò tutto per filo e per segno. Questa comare aveva una figlia orribile come gli sfregi di un coltello e le disse: “Senti, a mamma tua, hai visto quante cose ha dato la Mammadraga a Rosetta? Ora vacci pure tu a buttare l’immondizia, così butti il secchio nel pozzo e cerchi di fartelo ridare dalla Mammadraga”. Quella così fece; prese il secchio e lo buttò dritto dritto con tutta l’immondizia: “Mammadraga, Mammadraga, dammi il secchio!”. “Scendi qua sotto, e vieni a prenderlo”. Senza farsi pregare, lei scese nel pozzo. La Mammadraga la fece scopare e poi le disse: “Che cosa ci trovi in questa casa?” “Un sacco di sporcizia e di terra, come in quelle di tutti gli altri”. “Controllami questa testa. Che cosa ci trovi?”. La bambina si mise a controllare e disse: “Un sacco di pidocchi e di lendini, come in quelle di tutti gli altri”. “Ora rifammi il letto. Cosa ci trovi in questo letto?”. “Un sacco di cimici e di pulci, come in quelli di tutti gli altri”. “Come sei brutta! – le disse la Mammadraga. – Che su questa fronte ti possa spuntare un corno fetente. Che da quei capelli ti possano cadere da un lato sterco e dall’altro letame fetente!”. Figuratevi la gioia della bambina! Poi la fece entrare in una stanza, dove c’erano panni vecchi e panni nuovi; le mostra le calze e le dice: “Quali vuoi?”. “Quali? Quelle buone!”. “E io ti voglio dare quelle vecchie!”. Poi le mostra la camicia: di nuovo la stessa cosa; poi il vestito: lo stesso; finché non la vestì come una povera sguattera. Alla fine, le dà uno schiaffone: “Vattene!” e quella risalì. Appena la madre la vide spuntare: “Mamma mia! Mamma mia! Che ti è successo?”. “È stata la Mammadraga”. Tra le comari cominciarono i litigi, ma la madre di Rosetta rimase ricca, e l’altra, brutta e pezzente. E così il Signore castiga l’invidia maligna.
La fiaba è stata raccontata da Rosa Brusca a Giuseppe Pitrè, che la trascrisse e pubblicò nel 1875.
Questa versione tradotta dal siciliano da Bianca Lazzaro è tratta da Giuseppe Pitrè, Il pozzo delle meraviglie. 300 fiabe, novelle e racconti popolari siciliani, Donzelli Editore, 2021, Roma, pagg. 264-266.
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